Dentro un brick di albumi c’è molto più di quello che immagini: l’origine (inquietante) di un prodotto che va a ruba

Loredana Di Stefano

19 Giugno 2025

brick di albumi

È comodo, veloce, proteico. E soprattutto fa sentire chi lo usa un po’ più sano, un po’ più fit. Ma quel brick di albume liquido che butti nel carrello senza pensarci troppo, è davvero così innocuo come sembra?

La realtà è che dietro a quel cartoncino così pratico si nasconde una filiera industriale invisibile, fatta di milioni di uova rotte ogni giorno, di galline stipate in capannoni, di un’ottimizzazione che sa tanto di sfruttamento. E no, non è solo una questione di etica animale. C’entra anche l’ambiente. E la nostra percezione distorta di ciò che è “sano”.

Il nuovo alleato di sportivi e salutisti

Partiamo da qui: l’albume in brick è diventato un must per chi segue una dieta iperproteica, per chi vuole evitare grassi e colesterolo, per chi fa palestra, per chi ha poco tempo. Una confezione da mezzo litro può contenere le proteine di 10 uova, senza tuorli, senza gusci da rompere, senza sprechi apparenti.

Prima di continuare, ti ricordo che è disponibile, per ricevere le notifiche delle nostre ultime notizie, il canale Telegram, cliccando qui oppure il canale Whatsapp, cliccando qui. Unisciti anche tu per non perdere le ultime novità. IL TUO NUMERO DI TELEFONO NON LO VEDRÀ NESSUNO!

È il sogno di chi vive di pancake proteici e omelette da 40 grammi di proteine. Ma è anche il simbolo di un nuovo modo – industriale – di consumare le uova: non più alimento intero, ma ingrediente processato.

brick di albumi
brick di albumi

Cosa c’è (davvero) dentro un brick

Quell’albume liquido che vedi non è nato così. Per arrivare al prodotto che compri al banco frigo, serve un processo lungo e meccanizzato. Tutto comincia negli allevamenti di galline ovaiole, spesso di tipo intensivo, dove migliaia di animali vivono in spazi chiusi, controllati, e con ritmi produttivi serrati.

Le uova raccolte non vengono mai vendute con il guscio: sono destinate alla lavorazione industriale. Nei grandi impianti, macchinari specializzati rompono le uova e separano albume e tuorlo, evitando ogni contaminazione.

Poi l’albume viene filtrato, controllato, e infine pastorizzato, ovvero riscaldato a temperature che distruggono i batteri (salmonella in primis), ma senza cuocere il prodotto. Il risultato è un liquido omogeneo, pronto per essere confezionato, refrigerato e messo in vendita.

E il tuorlo? Nessuno spreco, ma…

Il tuorlo separato non va buttato. Viene usato per dolci industriali, pasta fresca, maionese, creme. Tutto viene sfruttato, in nome dell’efficienza. Ma questa suddivisione “chirurgica” dell’uovo, che perde la sua unità naturale, è anche il simbolo di un’alimentazione sempre più sezionata, sempre più scollegata dalla materia prima originaria.

Un uovo non è più un uovo. È una fonte proteica. O un’emulsione. O un ingrediente da ottimizzare.

Monta poco, ma va forte

A livello nutrizionale, l’albume in brick non è molto diverso da quello fresco. Le proteine ci sono, così come gli aminoacidi. Ma la pastorizzazione cambia la struttura: se lo sbatti per fare le meringhe, monta poco. È più fluido, meno elastico. Non è un caso: chi lo compra, in genere, lo cuoce direttamente o lo versa negli shaker proteici.

Non serve che sia “perfetto”. Basta che sia veloce.

Il boom dell’albume è davvero sostenibile?

Dietro il successo di questo prodotto, però, c’è un prezzo ambientale ed etico da considerare. Gli allevamenti che riforniscono l’industria alimentare producono milioni di uova al giorno, ma in condizioni spesso discutibili: galline tenute al chiuso, ritmi forzati, consumo di mangimi industriali, impatto su aria e acqua.

Inoltre, la trasformazione industriale e la refrigerazione dell’albume liquido richiedono energia e risorse, che rendono il prodotto finale tutto tranne che “green”.

Eppure il marketing lo presenta così: fit, sano, leggero. Ma quanto è davvero naturale una proteina che viene da un sistema così complesso e poco trasparente?

brick di albumi
brick di albumi

Perché ci siamo abituati a separare il cibo

C’è anche un tema più culturale. Ci siamo abituati a vedere il cibo come insiemi di macronutrienti, da controllare, isolare, misurare. L’albume rappresenta il trionfo della proteina pura, senza il “peso” del tuorlo, senza i grassi, senza le calorie.

Ma questa visione ci allontana da una dieta equilibrata, fatta di alimenti interi, di stagionalità, di buon senso. Mangiare sano non significa sezionare gli alimenti, ma scegliere con consapevolezza.

L’illusione del sano che fa bene (ma non sempre)

Il brick di albume può essere utile, certo. Ma va contestualizzato. Se lo usi per comodità ogni tanto, è un conto. Se diventa un’abitudine quotidiana, parte di una dieta squilibrata e ipercontrollata, forse è il caso di fermarsi e farsi due domande.

Cosa stai mangiando davvero? E cosa sostieni, comprandolo?

Lascia un commento